Lettera a Don Emilio Gandolfo

 + Francesco Coccopalmerio

 

Carissimo Fratello, venerato Don Emilio,

scrivo direttamente a te, non per un artificio retorico, ma perché tu sei qui, estremamente vivo, pieno, cioè, della vita di Dio, e quindi ci ascolti e ci capisci. Ascolti le nostre parole e capisci i nostri sentimenti.

Questi sono, forse, ancora più importanti di quelle. E i nostri sentimenti sono profondi e sono molteplici.

In primo luogo, di stordimento e di orrore. La sera di venerdì dello scorso 3 dicembre verso le ore 23 (ero rientrato da Roma e poi dalla visita a una famiglia), sembra che il Signore mi abbia suggerito di vedere alla televisione le ultime notizie.

E, tra le poche trasmesse, spiccava quella orribile della tua orribile morte. Come puoi capire, è stata una drammatica esperienza. Soprattutto nasceva l'interrogativo, che poi ho sentito nelle riflessioni di molti, perché proprio a le, uomo noto per la mitezza, una morte così violenta? Perché il Signore, che tanto li ha amato, ha permesso questo? E perché tanta bruttura in chi è colpevole della tua morte? Davvero siamo frastornati e ti diciamo con grande dolore il nostro stato d'animo. Nel contempo però - e sappiamo che anche tu ce lo chiedi - vogliamo cristianamente perdonare a chi li ha colpito e vogliamo pregare il Signore per il suo completo ravvedimento.

Ma i nostri sentimenti sono non solo di stordimento e di orrore, ma anche di consolazione nella fede. Ti pensiamo infatti in Paradiso. Qualcuno in questi giorni diceva con convinzione

e con calore: E morto un martire! E qualcun altro diceva: E' in dolce compagnia di tanti personaggi santi, che lui in terra ha studiati e amati, fra tutti San Paolo, Sant' Agostino e San Gregorio Magno. E questo porta spontaneamente il pensiero a quanto tu hai fatto sulla terra: alla tua spiritualità, ai tuoi studi, al tuo apostolato.

Altri che ti hanno frequentato per tanti e tanti anni (io ti avevo incontrato solo da poco tempo) potrebbero illustrare la tua figura molto meglio di quanto io possa fare e quindi non posso fermarmi in un ricordo dettagliato della tua vita. Lo faremo in varie forme, anche con opportune pubblicazioni.

In questo momento posso solo, in modo rapido, ricordare il tuo impegno come docente dei liceali di Roma, posso ricordare la tua attività di appassionato studioso della Bibbia e dei Padri, il tuo servizio come accompagnatore di innumerevoli pellegrinaggi in Terra Santa e infine il tuo apostolato nella amata parrocchia di Vernazza.

Ma mi è gradito sottolineare qui, in modo particolare, il tuo amore per la Compagnia di San Paolo, tua famiglia di appartenenza ecclesiale, e quindi per noi paolini, e per ciascuno di noi, tuoi fratelli e sorelle in questa cara comunità. Ti sei appassionato alle sue sorti, al suo rinnovamento, al suo sviluppo. Hai riservato a tutti noi i tuoi sentimenti di delicata attenzione. Hai seguito con simpatia e coraggio il mio modesto contributo e mi hai voluto tanto bene. Hai guardato con favore al nuovo fiorire di membri associati. Hai voluto essere sempre presente ai nostri recenti raduni semestrali. E in essi hai sempre voluto indirizzarci uno speciale messaggio.

Vorrei qui richiamare l'ultimo che ci hai rivolto in data 5 luglio u.s. nella Casa di Triuggio, quasi affidandoci un testamento spirituale, perché di fatto, anche se né tu né noi potevamo saperlo, era l'ultima volta che tu stavi tra noi, visibilmente, su questa terra. Interessante e 'toccante è anche la constatazione che tale messaggio è stato scritto proprio a Vernazza.

In questo messaggio-testamento tu, amato Don Emilio, ci insegni due cose: la prima è che ciascuno di noi è stato chiamato dal Signore ed è stato inviato da lui per annunziare il

Figlio suo; la seconda è che tale annunzio deve essere rivolto soprattutto a chi è più lontano. Si tratta, in definitiva, del carisma specifico della Compagnia di San Paolo.

Orbene tu, caro Fratello, questa missione l'hai compiuta con tutta la tua vita di chiamato e di apostolo.

Ma - possiamo dire - proprio la tua morte ha dato rilievo al secondo elemento richiamato sopra: hai annunciato Gesù ai Più lontani. Chi, infatti, ti ha ucciso non poteva non vedere in te l'immagine e il volto di Gesù. E qui si ripresenta la domanda: perché un uomo buono, mite e dolce, come eri tu, ha subìto una fine così violenta? E forse a questo punto possiamo trovare una risposta: perché tu potessi riprodurre non solo per chi ti colpiva, ma anche per tutti noi l'esempio di Cristo paziente. Cristo, il più buono, il più mite e il più dolce, e insieme il più colpito dalla violenza di noi uomini. La tua morte, dunque, altro non è stata se non il coronamento della tua vocazione e della tua missione: dovevi riprodurre il mistero di Cristo.

Ed è per questo che ora sei, come Cristo, coronato in gloria. E da là dove ti trovi ti chiediamo di intercedere per noi.

Chiedi al Signore, per ciascuno .di noi, per la Compagnia di San Paolo, per i tuoi ex allievi, per i tuoi parrocchiani di Vernazza, per tanti che ti hanno conosciuto e amato, la grazia Più importante: che anche noi sappiamo riprodurre il mistero di Cristo; possiamo cioè accettare la nostra parte di sofferenza per arrivare alla gloria del Paradiso.

Saremo allora, anche noi, come tu ci hai raccomandato, fedeli alla chiamata e alla missione di annunciare il Figlio di Dio in questo mondo così bisognoso.

Riposa nella pace, Fratello amato, nel sole di quella Giustizia che hai efficacemente testimoniato quando eri tra i tuoi sulla terra.

Tuo, con tutti i Paolini e le Paoline,

+ Francesco Coccopalmerio

 

Lettera a Don Entilio

 

Milano 1 Febbraio 2000

Carissimo Don Emilio,

ci siamo incontrati (ricordi?) la prima volta a Roma nel 1948. Tu risiedevi nella casa della Compagnia in Via Flaminio Ponzio: Don Ercole non aveva ancora costruito la casa di Via Carini.

Eravamo giovani preti tutti e due. Tu allora frequentavi, se non erro, la Gregoriana o il Biblico in cui avevi come professore Padre Lyonnet e compagno di corso un altro noto biblista, padre Emmanuele Testa che poi hai fatto entrare tra le mie amicizie.

Sono entrato anch'io in Compagnia all'inizio dei 1950 ed alloggiando nella casa di via Carini, finì che ci diedero due stanze contigue. Dal tenue muro divisorio io ti sentivo battere i tasti della macchina da scrivere, e tu mi ascoltavi cantare talora persino a squarciagola tanto da dovermi zittire con bonaria imitazione.

Questa vicinanza ci ha reso intimi l'uno all'altro: ci siamo conosciuti, accolti, accettati, compresi. Tu sapevi di me come io sapevo di te senza bisogno di spendere parole per dire l'uno all'altro ciò che avevamo in animo.

Fu per questa intima "amicizia" che tu nel 1965 sei stato uno di quelli che mi hanno accettato profondamente e voluto come superiore generale della Compagnia. Ma fu per questo stesso intimo motivo che io ho visto dentro di te il tuo profondo: con i pregi della tua spiritualità tesa verso Dio in modo semplice e vivo; con quelli che umanamente allora consideravo i tuoi difetti, e cioè le tue impazienze, le tue intolleranze, la tua incapacità di rimanere senza muoverti nello stesso luogo. Ma erano queste stesse caratteristiche che ti muovevano alla spinta verso la ricerca. Per essere sicuro volevi camminare (come tu dici) sulle orme di Qualcuno: erano questi Qualcuno il Cristo, Paolo di Tarso, Gregorio Magno od anche Padre Lyonnet o Michele Pellegrino. Con loro andavi alla ricerca delle radici: la Terra delle origini cristiane, la lettera di Dio agli uomini, la Chiesa degli inizi, la voce dei Padri. Sei andato alla ricerca, e l'hai trovata, della terra dei tuoi inizi umani: la tua Liguria e sei tornato a ritrovare i valori della tua infanzia compresi - quelli del cibo. Ricordo come mi facevi preparare con gioia la focaccia dei tuoi paesi e come le gustavi con me quando riuscivo a passare da te a Levanto.

Ho visto così la tua crescita, la tua maturazione spirituale, il tuo calmarsi nella ricerca, il tuo appagarsi di Dio e perciò il tuo fermarsi. Non mi sono più meravigliato di vederti a Vernazza per lungo tempo (quanti anni?) senza cercare nessun altro luogo. Nella maturazione si è accresciuta la tua capacità di accettazione degli uomini, la tua tolleranza, il tuo senso di amicizia nella pace e nella serenità di coloro che sanno di essere con Dio.

Negli anni 70 ricordo che una volta, ascoltando una mia conferenza, mi dicesti a viso aperto che non potevi seguire la mia utopia. Quell'utopia che era (ne sono cosciente) comunione con Dio Amore. Quando sei cresciuto nella maturità del tuo essere, hai inteso che la mia utopia era anche profondamente tua.

Tu oggi l'hai raggiunta prima di me. Te l'ha fatta raggiungere quell'incosciente, completamente ignorante del tuo essere e del tuo cammino che ti ha usato violenza per portarti a morte. Questi ha preso, per raggiungere il suo scopo, la via più errata che potesse: la via della violenza e dell'imposizione. Ha ignorato la via dell'amicizia e della benevolenza: se vogliamo la via dell'abbraccio nel pianto. Fagli comprendere, Don Emilio dall'alto della tua pace, il suo ignorare, il suo errare, la sua nullità di uomo.

E quanto a me sono contento di averti conosciuto e di essere vissuto nella tua amicizia. Per questo benedico Dio. Tu, da parte tua benedicimi.

Tuo affezionatissimo Giulio

N.B. Mi firmo senza Don perché tu cosi usavi chiamarmi.

 

 

Ascoltiamo Don Emilio

Quando don Emilio parlava si faceva silenzio, un profondo silenzio. Quando finiva la sua riflessione il silenzio si prolungava fino al raccoglimento.

Questa è la mia esperienza accanto a un sacerdote nei diversi momenti vissuti con lui quando ci preparavamo per andare nel deserto in Terra Santa...

Per introdurci in questa esperienza ci chiedeva di non parlare durante il viaggio. Anche nell'Orto del Getsemani e nel Monte delle Beatitudini, nella sua parrocchia, Santa Margherita di Antiochia, Vernazza. Quando lui predicava dovevo interrompere le confessioni mosso dalla attitudine dei

parrocchiani per ascoltare le sue parole.

Negli incontri della C.S.P. (Luino, Niguarda, Triuggio) sempre rivelava, nelle sue riflessioni, la sua nostalgia per la unità. Tutti ascoltavamo molto attenti perché sapevamo con quale ' autorità ci parlava. li silenzio c'era intorno a questo sacerdote mite umile e saggio. lo vi invito a condividere questa esperienza dei silenzio nell'ascolto interiore delle sue parole. Con queste sue parole lui è ancora fra noi.

P. Gustavo

 

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